Home > Approfondimenti > Patologie -> Spondilolistesi: cause, rimedi, esercizi e terapie
La spondilolistesi è una patologia che presenta un’incidenza del 5-6% nei maschi e del 2-3% nelle femmine. Rappresenta quindi, rispetto alle numerose problematiche che affliggono la regione lombare, una minima parte delle patologie della colonna vertebrale. Dal punto di vista etimologico la parola spondilolistesi significa “scivolamento della vertebra”. Effettivamente quello che succede a livello della regione vertebrale interessata è proprio questo, uno scivolamento della vertebra in avanti rispetto alla quella superiore o inferiore. Ma come è possibile tutto ciò? Le cause possono essere diverse, di natura traumatica o congenita. Il grado di questa patologia può essere minimo o severo, e le terapie spazieranno dall’ambito conservativo (ginnastica) a quello chirurgico.
Come accennato precedentemente, la spondilolistesi rappresenta lo scivolamento in avanti (verso la regione addominale per intenderci) di una vertebra rispetto all’altra. La successione delle vertebre mantiene una stabilità costante per dei sistemi di sostegno passivi e attivi. I sistemi di sostegno attivi sono rappresentati dai muscoli, siano essi profondi o superficiali, tonici o fasici.
I sistemi di sostegno passivi sono rappresentati da tutti quei mezzi (legamenti, faccette articolari, dischi intervertebrali) su cui non abbiamo un controllo attivo volontario, ma che, per conformazione anatomica e morfologica contribuiscono a mantenere la stabilità della colonna vertebrale. Quando uno di questi elementi, e in questo caso specifico si parla dell’itsmo vertebrale, una regione particolare della vertebra che connette l’apofisi trasversa a quella posteriore, subisce una lesione, questo non è più in grado di mantenere la vertebra al suo posto e, in alcuni casi, può generare uno scivolamento in avanti. Questo scivolamento, tramite indagini radio diagnostiche specifiche (radiografie oblique e antero posteriori), può essere analizzato e viene valutata l’ampiezza dello scivolamento. A seconda dell’ampiezza se ne valuta il grado e di conseguenza la possibile terapia.
Se il grado, quindi l’ampiezza, è molto importante, si considera il trattamento chirurgico per stabilizzare la successione vertebrale, in modo da evitare qualsiasi rischio di compromissione midollare.
Se il grado invece è minimo e quindi lo scivolamento è assai modesto, la fisioterapia, il rinforzo muscolare propriocettivo e delle norme di igiene posturale, riescono a migliorare molto i sintomi. Il riposo supino, evitare di mantenere la posizione seduta a lungo, e rieducare il diaframma attraverso la ginnastica respiratoria, sono alcuni dei criteri da adottare per alleviare il dolore vertebrale che, in questi casi, si presenta nel 75% dei pazienti.
I due termini sono molto simili, ma indicano due condizioni vertebrali differenti. Nella spondilolisi, meglio definita come frattura da stress della parte intrarticolare, la regione dell’itsmo vertebrale è lesionata, ma non vi è lo scivolamento in avanti della vertebra. Questa condizione può essere originata da una predisposizione ereditaria, traumatico degenerativa,(estensioni e flessioni estreme ripetute come nei ginnasti predisposti).
La spondilolistesi è una condizione che si verifica nel momento in cui è presente lo spostamento della vertebra in avanti. Questo avviene perché quella regione della vertebra che dovrebbe assicurarne la stabilità, è lesionata, quindi la vertebra, non avendo nulla di osseo che la mantiene al suo posto, scivola verso avanti o verso dietro.
Le cause della spondilolistesi possono essere di diversa natura. Possono essere di origine congenita, ossia presenti dalla nascita; in questo caso è probabile che i sintomi possano comparire immediatamente oppure in età adulta, a seconda del grado della listesi. Può essere di natura degenerativa (il passo da una spondilolisi ad una spondilolistesi è breve). Molto spesso questa condizione, non viene indagata se non genera sintomi.
Può essere indagata indirettamente, quindi nel caso in cui si venga sottoposti a radiografie per valutare il grado di una scoliosi, per esempio. È comprensibile quindi che la persona non sappia di avere questo problema e di conseguenza agisca e faccia attività sportive che possono aggravare la situazione. La fase della gravidanza, ad esempio, caratterizzata da un tono addominale sempre meno presente a causa dell’accrescimento dell’addome nella partoriente, può coadiuvare il processo degenerativo di una spondilolistesi.
I sintomi della spondilolistesi possono essere inizialmente confusi con lieve indolenzimento muscolare. La regione muscolare vertebrale è costantemente in tensione per garantire la stabilità che i mezzi di contenimento passivo non riescono più a garantire. Quindi è comprensibile che inizialmente la dolenzia inizi dalla componente muscolare. Il dolore può essere presente sia al mattino che alla sera e a seconda dell’attività lavorativa può diventare più o meno intenso. Il lavoro impiegatizio e fisico tendono a minare il delicato equilibrio che si instaura in questi casi. Nel momento in cui la degenerazione della spondilolistesi ha inizio, il dolore può diventare intenso e coinvolgere anche le radici nervose sottoposte a stress in quel tratto vertebrale, compromettendo anche la deambulazione. Un’attenta valutazione clinica è essenziale per non confondere questi sintomi con una lombalgia aspecifica o lombosciatalgia.
Ad ogni grado di spondilolistesi esiste un preciso percorso terapeutico da seguire. Nei gradi minori (I e II) si cerca di ripristinare la stabilità del torchio addominale e lombare per fare in modo da fornire a quella regione vertebrale gli strumenti per resistere alla condizione di instabilità. Nei casi più gravi (III e IV grado), l’operazione chirurgica è il trattamento elettivo per consolidare i rapporti articolari instabili.
L’intervento chirurgico prevede la stabilizzazione (artrodesi) dell’articolazione vertebrale. Il percorso terapeutico post chirurgico si pone come obiettivo quello di riuscire a ripristinare il controllo, la forza e mobilità presente della regione cervicale, dorsale o lombare che è stata sottoposta ad intervento e di conseguenza, ad immobilità post chirurgica. Ovviamente la regione vertebrale sottoposta ad intervento non può muoversi, di conseguenza è fondamentale insegnare alla colonna vertebrale a convivere con questa nuova condizione, ripristinando il tono muscolare, il corretto controllo neuro muscolare e propriocettivo.
A seconda della condizione clinica della persona (intensità del dolore, durata, insorgenza, etc..) l’intervento terapeutico può essere vario. Se il dolore è molto intenso, si può considerare l’ipotesi di utilizzare la terapia strumentale (TECAR) o farmacologica associata al movimento attivo, in modo da riuscire a controllare in modo ottimale la condizione infiammatoria.
La mobilizzazione passiva, come ad esempio le manovre ad alta velocità e bassa ampiezza in cui si sentono i classici rumori articolari (crack) può essere controindicata.
L’esercizio attivo, nei casi in cui questo sia concesso, rappresenta il miglior modo per riuscire a fornire al corpo e in particolare alla regione vertebrale specifica, gli strumenti per resistere al dolore da instabilità vertebrale. Esercizi per rinforzare i muscoli di contenimento viscerale (retto dell’addome, trasverso, obliqui), per rinforzare la regione vertebrale (muscoli paravertebrali) e i muscoli degli strati profondi legati alla stabilizzazione e al controllo propriocettivo, sono fondamentali per ripristinare l’armonia tra muscoli e articolazioni. I movimenti da evitare sono sicuramente quelli che aggravano lo scivolamento in avanti della vertebra, come ad esempio l’iperestensione (nel caso della lordosi cervicale e lombare).
Tags: Vertebre
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